Sono
giunto stamani dal fondo del tempo.
E' un universo pallido,quello che ho davanti.
I
suoi abitanti adorano Madonne dallo sguardo albino, fisse
nell'iconografia volgare.
A
loro piace credere che il bene nella storia sia sempre stato innocuo.
Continuano
a ripeterlo da che son qui.
Una
sorta di tiritera proverbiale.
Amano
l'insulso più di ogni altra cosa.
E
lo confondono con la bontà.
Lo
scambiano col gelo di un sorriso vuoto e con volute bucate di bianche
mani.
Fanno
dell'innocuo un manifesto.
E' cubitale. Nell'aria intatta.
Vi
si difendono molto spesso.
E
levigano le loro superfici bianche.
Posso
vederli piallare da dove son seduto.
Levigano
forte perché le loro facce siano belle.
Scialbe.
Ben
insulse.
Come
si conviene.
Si
aggirano poi,in questo universo albino, esseri dai lineamenti
guerrieri, pochi.
Sotto
mentite spoglie.
Estinti
gli altri da una guerra sociale e mediatica.
E
sono qui costretti a piallare
un'eredità
genetica di spigoli sul viso.
Ed
a giustificare il catrame infondo ai loro occhi.
E' il dolore in cui sono inciampati.
Varie
forme di questo.
Una
maledizione che si attacca sul fondo e rende coscienti.
Più
del richiesto.
Più
del socialmente voluto.
Un
incantesimo passato che in questo universo non esiste più.
Ma
che colpì loro.
I
gesti spesso sono troppo veloci.
Mancano
dell'innocua grazia.
Hanno
un diverso tipo di eleganza.
Una
classe selvatica.
Spesso
avvertita nello stomaco da tutti.
Ma
da pochi identificata come tale. I bianchi la negano.
Ed
è invece antica, ma qui hanno dimenticato bene. Con cura.
Si
aggirano, fra verità piallate forte.
I
pezzi a terra.
E
non sanno cosa fare.
Inutile
tagliare via gli spigoli, inutile cacciarsi il catrame dagli occhi.
E
i loro passi, le loro dita, i cenni delle loro teste non riescono –
forzatamente- a forzarsi di essere innocui.
Ma
io li riconosco, anche quando ben camuffati sotto chili di cipria
albina.
Qualcuno
parla sapendo di dover tacere. Parole piene. Che fendono l'aria.
Fallendo
di lasciarla intatta come da legge.
Lo
spingono.
E
a terra, si domanda se non sia giusto il bianco e falso quel suo
catrame nero.
Se
non sia d'un altro mondo quel suo denso petrolio interiore.
Che
ribolle.
E
non può fare a meno di scoppiare in biglie di pensieri. Che loro
chiamano pallottole.
E
se tutto questo atavico e selvatico sentire non stia rendendo ai
bianchi la scusa per un'odiosa ed indesiderata guerra.
E
tutta questa ardita coscienza di piombo non stia concedendo loro
l'insulso lusso di chiamarsi
“Bene”
e di tenerli fuori da questa loro
sacrosanta
categoria.
Barbara
Della Porta